Ci siamo arrabbiati, quando, anni fa, una sparuta percentuale di bambini italiani continuava a venire a scuola, a fronte di una netta maggioranza migrante, che ha sconvolto genitori ed insegnanti, perché si sono messi a dura prova metodi educativi e didattici, la quotidiana certezza di un quartiere operaio che vedeva mutati i rapporti di convivenza e buon vicinato. I bambini tornavano nelle loro case e raccontavano che i nomi di amici e compagni erano Mohamed, Selma….. e le loro mamme invece dei jeans, portavano il velo e avevano le mani pitturate con l’henné ed i padri andavano alla moschea. Ci ricordiamo che abbiamo chiesto aiuto agli altri istituti comprensivi a fronte di una percentuale, che sfiorava in alcuni casi il 75%, di alunni provenienti dall’area del Mediterraneo, senegalesi, bengalesi… ben consapevoli che l’immigrazione non poteva essere una questione riguardante un quartiere, ma l’intera città… Ci siamo dispiaciuti ed anche offesi quando abbiamo visto le famiglie del nostro quartiere preferire altre scuole per i propri figli perché temevano che rimanere  a S. Giuseppe  avrebbe significato meno opportunità, programmi e programmazioni didattiche disattesi. La verità era voler persistere ed insistere in una visione del mondo statica, arroccata nelle certezze e credenze che mai nulla dovesse e potesse cambiare. Abbiamo capito che ciò era dovuto al naturale timore nei confronti di chi non si conosce, di chi è diverso da noi e ci siamo rimboccati le maniche. Abbiamo voluto sapere, conoscere le storie di chi veniva dall’altra parte del mondo per cercare una vita migliore, ed è iniziata una nuova idea di scuola che tuttora stiamo tentando di realizzare, a piccoli ma significativi passi.

Ci presentiamo: siamo i rappresentanti degli insegnanti e dei genitori del Consiglio di Istituto dell’Istituto Comprensivo Federico II, che da anni lavorano insieme con la consapevolezza, che ci è data solo dall’esperienza dalla caparbietà e dalla passione, che viviamo in un mondo grande globalizzato, interdipendente. Non si può  fuggire o restare in silenzio, ma bisogna lavorare per costruire una realtà che non discrimina, ma che fa spazio, conoscenza, solidarietà. Le esigenze ed i problemi da risolvere sono tanti e i fondi a disposizione sempre di meno . Vivere in un quartiere popolare significa fare i conti con la disoccupazione, il lavoro precario, che oggi comunque colpiscono anche altri ceti sociali. La povertà… si chiama disagio sociale e colpisce senza guardare il colore della pelle. ABBIAMO BISOGNO di mediatori culturali, di figure di supporto per l’insegnamento dell’italiano e per il recupero, abbiamo bisogno che l’accesso ai servizi sia consentito, perché non è pensabile l’attesa di più di un anno per avere una diagnosi di disabilità, presso le strutture dell’Asur. Abbiamo bisogno che i  ricongiungimenti familiari durante l’anno scolastico   siano gestiti dal Comune in modo che i nuovi arrivati siano distribuiti fra i vari istituti comprensivi. Il metodo che usiamo a scuola è quello della miglior tradizione  italiana: attuazione di una pedagogia  caratterizzata da strumenti didattici che, tenendo conto del nesso esistente tra scuola e società, e rispettando l’individualità del bambino e del ragazzo, cerchino di liberare la sua intelligenza per lo sviluppo di una personalità autonoma e indipendente. La scuola deve essere un ambiente di vita nel quale si  possa sviluppare una comunità organica di ragazzi, aiutati ad aprirsi e a comunicare. E non tralasciamo certamente i programmi. La maggior parte dei nostri alunni, finito il primo ciclo di istruzione, arriva preparata alle superiori e ottiene lusinghieri risultati. E questo riguarda gli alunni con cittadinanza italiana e non. La soddisfazione che i nostri ragazzi si trovino bene è  grande e lo è ancora di più se anche i migranti raggiungono traguardi importanti. Certamente non tutti i nostri obiettivi si realizzano, ma quale scuola non ha problemi?  Oggi complessivamente la presenza migrante nel nostro istituto supera di poco il 30%, perché abbiamo attuato una ridistribuzione nei vari plessi ed anche perché molte famiglie del nostro bacino sono tornate a darci fiducia e  possiamo assicurare che non se ne sono pentite.  Superati i limiti ideologici che una tale configurazione può suscitare, è evidente il potenziale di rinnovamento culturale e civico che una scuola a colori come la nostra può esercitare sulle future generazioni. Luogo di gestazione della multiculturalità, di un’integrazione reale che nel futuro segnerà i rapporti tra i nuovi e i vecchi cittadini . Pensiamo che questa debba essere la scuola pubblica….e la scuola di domani. A chi tuona ancora della scuola ghetto, a chi avvalora la tesi  che la presenza di alunni migranti abbassi la qualità dell’istituto diciamo che si sta perdendo un’occasione per scoprire quale sia il futuro di tutti noi, una mescolanza, un meticciato CHE CI FARA’ ESSERE TUTTI DIVERSI. E gli consigliamo anche di andarsi a leggere i commenti sdegnati dei nostri ragazzi nel blog di istituto. A quanti ancora pensano che accogliere migranti nelle proprie classi sia un disvalore  ci sentiamo sommessamente di ricordare: quale scuola pubblica pensate di poter governare se vi rifiutate di educare e guidare la comunità di alunni e genitori che frequentano le vostre scuole verso una società sempre più multiculturale e multietnica?

I genitori e gli insegnanti del Consiglio di Istituto

I.C. “Federico II”, Jesi